San Possidonio (Possidio) Venerato a San Possidonio e Mirandola 16 maggio
In una cronaca medioevale della chiesa di San Pietro di Reggio Emilia, si legge che il vescovo Azone (IX secolo) per concessione dell'imperatore Lodovico il Pio (778-840), trasferì dall'Apulia a «Curtis Latiana» (nei pressi di Mirandola nell'Emilia), il corpo del santo presbitero Possidonio. In un lezionario del secolo XIII appartenente alla basilica di San Prospero di Reggio Emilia, si leggeva che Possidio era di nazionalità greca e oriundo di Tebe. Dal 1500 in poi, contro la tradizione medioevale, si cominciò a parlare delle reliquie del santo Possidio venerate a Mirandola, come quelle del vescovo di Calama in Numidia, Possidio, discepolo e collaboratore del grande sant'Agostino; il quale scacciato dalla sua sede da Genserico, re dei Vandali, nel 437, andò in esilio nell'Apulia dove morì e da qui nel secolo X il suo corpo fu trasferito prima in Germania e poi a Mirandola. Nonostante molte coincidenze non c'è nessuna prova che si tratti dello stesso personaggio, a parte l'assonanza dei nomi. (Avvenire)
La storia di s. Possidonio è una di quelle che fanno impegnare molto gli agiografi, per il contrasto esistente delle poche notizie, l’identificazione e sovrapposizione con altro santo omonimo, l’incertezza delle date; comunque tutto questo è superato dalla forte devozione che il popolo dei fedeli di Mirandola e del suo ex ducato, hanno da secoli tributato a questo santo.
In una cronaca medioevale della chiesa di S. Pietro di Reggio Emilia, si legge che il vescovo Azone (sec. IX) per concessione dell’imperatore Lodovico il Pio (778-840), trasferì dall’Apulia (antica regione d’Italia, comprendente la Puglia, la Penisola Salentina e il Beneventano) a ‘Curtis Latiana’ (nei pressi di Mirandola nell’Emilia), il corpo del santo presbitero Possidonio.
In un ‘lezionario’ del secolo XIII appartenente alla basilica di S. Prospero di Reggio Emilia, si leggeva che Possidonio era di nazionalità greca e oriundo di Tebe.
Dal 1500 in poi, contro la tradizione medioevale, si cominciò a parlare delle reliquie del santo Possidonio venerate a Mirandola, come quelle del vescovo di Calama in Numidia, Possidio, discepolo e collaboratore del grande s. Agostino; il quale scacciato dalla sua sede da Genserico, re dei Vandali, nel 437, andò in esilio nell’Apulia dove morì e da qui nel secolo X il suo corpo fu trasferito prima in Germania e poi a Mirandola.
Nonostante molte coincidenze non c’è nessuna prova che si tratti dello stesso personaggio, a parte l’assonanza dei nomi.
A Mirandola, la festa di s. Possidonio è celebrata il 16 maggio, al tempo della Signoria dei Pico (1354-1708), il culto ebbe un notevole sviluppo, attualmente è abbastanza ridotto.
Possidonia è il femminile di Possidonio, ciò nonostante una santa dello stesso nome è compatrona del Comune di Fanano (Modena), ma di lei non si hanno notizie, tranne che di una traslazione delle reliquie; deve trattarsi di una martire le cui reliquie furono saccheggiate dalle catacombe dai Longobardi nell’assedio di Roma e portate verso il settentrione d’Italia e d’Europa, ricevendo comunque un culto locale, lì dove venivano deposte.
Autore: Antonio Borrelli
San Possidonio
Ancora sconosciute sono le origini di questo piccolo paese situato nella bassa modenese, a pochi chilometri da Mirandola. I primissimi insediamenti risalirebbero all'età del bronzo. In età romana era nominato Garfaniana: si trattava di una piccola stazione di comunicazione tra Nord e Sud. Non abbiamo più notizie di Garfaniana fino al Medioevo quando entra a far parte del Regno longobardo nel distretto di Reggio Emilia. È in questo periodo che il vescovo di Reggio, Azzo, ottiene da Ludovico II le reliquie di San Possidonio, dal quale il paese prese il nome attuale.
Dopo il dominio dei Marchesi di Toscana (intorno all'anno 1000), San Possidonio diventa territorio dei Pico fino al 1710 quando passa sotto la signoria degli Estensi. Questi concedono a Pietro Tacoli il paesino come Marchesato. Nel 1789 nacque Don Giuseppe Andreoli, prete carbonaro condannato a morte nel 1821 dal duca Francesco IV di Modena e giustiziato a Rubiera nel 1822. Un monumento situato nell'omonima piazza (opera di Alfredo Gualdi, 1922) raffigura il prete martire di fianco all'Italia e a un soldato.
La Chiesa Parrocchiale (della quale si trova già traccia in un documento del 962) è il principale monumento della cittadina. Ricostruita diverse volte, ospita al suo interno una Madonna con Santi e Laura Pico, un S. Francesco di Sales, un S. Possidonio con i SS. Francesco e Antonio Abate.
Durante la seconda guerra mondiale il paese fu sede di intensa attività partigiana e, nell'immediato dopoguerra, di ritorsioni contro gli esponenti del passato regime fascista come la "strage della Corriera fantasma" sotterrata in un campo del Comune, quando un gruppo di militi e civili della Repubblica sociale italiana in viaggio su un camion recante insegne vaticane fu fermato e i passeggeri furono uccisi.
Manifattura
Nel periodo del Marchesato Tacoli di San Possidonio e poi con il Ducato Estense, nel paese venne creata una fabbrica per la manifattura di posate di argento. E anche una ditta di maiolica e vasellame.
Banca
Agli inizi del XX secolo risale la Banca di San Possidonio BSP. Istituto di credito attivo, la Banca di San Possidonio è una società anonima per azioni costituita con rogito notarile il 4 aprile 1924, depositato e trascritto nella cancelleria del tribunale civile di Modena il 15 maggio 1925. I documenti risultano inoltre regolarmente vidimati dal regio ufficio del registro di Mirandola con marca da bollo da 1 lira in data 27 marzo 1925. La Banca di San Possidonio nei decenni successivi verrà acquisita dalla Banca Modenese - Banco di San Geminiano e San Prospero (Banco Popolare).
ITALIA ANTIQUA
VIII, Emilia Romagna
di Antonio Montesanti
La particolare conformazione geografica di questa regione, ponte e confine tra il Nord e il Centro-Sud dell’Italia fece si che nei secoli abbia assunto un ruolo fondamentale nella storia.
Nella sua irrequietezza storica, dovuta ad una serie di sovrapposizioni culturali continue, vi è sempre, all’interno del territorio emiliano-romagnolo, una dicotomia costante che presenta variazioni più o meno significative nella suddivisione dei confini tra le due entità, ma che in ambito storico rappresenta un continuum che riporta oggi alla biunivocità della regione medesima.
L’epoca preistorica è attestata nel siti più importanti di Monte Poggiolo e Ca' Belvedere, presso Forlì, dove, a partire dai primi anni ’80 del secolo scorso, vennero raccolti grandi quantitativi di reperti del Paleolitico Superiore.
Alcuni studi intravedono un’identificazione della suddivisione storica già in epoca pre-protostorica asserendo che se la facies dei Terramare si stanziò, in un periodo anteriore al XII sec. a.C., ad ovest, la cultura villanoviana s’inserì dall’XII-XI sec. a.C. ed est del fiume Panaro, identificando con esso un primo confine naturale tra le due subregioni.
L’archeologia, o la pochezza degli studi, conferma un abbandono intorno al 1100 a.C., dei siti terramaricoli che lasciano un vacuo addirittura fino al IX sec. a.C., all’insediarsi dei primi consistenti nuclei villanoviani preceduti da quelli protovillanoviani, e che comunque non si sovrappongono a quelli terramaricoli. Sembra che gli studi confermino inoltre una scarsezza insediamentale ad occidente del Panaro nel periodo compreso tra il XII al VII secolo a.C.
È comunque nel bolognese, tra Casalecchio sul Reno e Villanova, che si riconoscono i tratti preponderanti della cultura omonima, che corrispondono all’area di maggior propagazione etrusca all’interno della pianura padana, in corrispondenza della valle più profonda che solca l’Appennino Tosco-Emiliano.
Quest’area sarebbe stata il propulsore dei centri nel modenese dei centri di Carpi, Savignano, Castelfranco e Cognento e di Verrucchio in Romagna, centro, quest’ultimo, che identifica il secondo passaggio, più ad est dell’Appennino.
Se si voglia dar credito al fatto che la civiltà villanoviana sia una forma protoetrusca o che la civiltà tirrenica occupò o s’integrò con gli stessi siti villanoviani, troviamo comunque una corrispondenza tra le aree in cui s’insediarono i villanoviani e quelle occupate dagli etruschi stessi.
Le fonti vogliono che siano stati gli etruschi di Perugia o di Chiusi, cercando uno sbocco politico e commerciale verso l'Adriatico, a diffondersi e ad occupare l’intera Pianura Padana fondando il centro principale di Felsina (Bologna), dando luogo, nei centri maggiori di Mutina (Modena), Spina, Misa (Marzabotto), Piacenza, al fenomeno, già diffuso nell’Etruria vera e propria, del sinecismo, concentrando i precedenti villaggi villanoviani attorno ad un centro unico.
Felsina fu città importante, assai fiorente, con un ruolo primario e dominante su un vasto comprensorio ricco di piccoli insediamenti abitativi.
Occupando quest’area gli Etruschi, a loro volta, le davano una suddivisione, tra l’area agricola-terranea basata sugli scambi terrestri ed una, facente capo agli avamposti di Adria (Veneto) e Spina principalmente marittimi. In questo modo gli Etruschi potevano contare sulle due direttrici principali di raggiungimento del Nordeuropea: da una parte l’area celto-iberica e dall’altra la scandinavo-balcanica. Sappiamo per certo, comunque, che avevano già “strapparono” al controllo degli Umbri la fascia costiera che essi occupavano da Rimini a Ravenna.
A loro volta i Tirreni furono costretti a cedere i territori a nord dell’Appennino, dopo diverse ondate, ai Galli sul finire del V sec. a.C.
Sconfitti sul Ticino, gli Etruschi sono costretti a ritirasi nel loro territorio originario; l’Emilia Romagna viene occupata da tre differenti tribù celtiche: quella dei Boi che comprendeva l’attuale Emilia, che va dalle provincia di Bologna a quella di Piacenza, la tribù dei Lingoni che s’insediò nell’attuale provincia di Ferrara, mentre i Senoni invasero le aree delle province di Ravenna (a sud del fiume Utis, moderno Montone), Forlì-Cesena, Rimini arrivando ad occupare parte del territorio umbro-piceno corrispondente con la provincia di Pesaro-Urbino, fino al fiume Aesis, odierno Esino: quest’ultimo territorio verrà chiamato dai Romani Ager Gallicus.
Nello slancio, gli stessi Senoni ed il loro re Brennno raggiungeranno Roma all’indomani della presa di Veio (396 o 390 a.C.), costringendo la città alla capitolazione e al pagamento di un forte tributo prima di venire liberata da Furio Camillo.
Con la vittoria di Sentino del 295 a.C., Roma inizia ad affacciarsi nel Piceno e quindi nell’Ager Gallicus. Soggiogati definitivamente i Senoni, i romani entrano in possesso del territorio fondando nel 268 a.C. la colonia di Ariminium (Rimini), che servirà da trampolino per la conquista dell’intera Gallia Cispadana.
Una scusa per l’annessione totale dei territori gallici arriva nel 225 a.C. quando i Celti della Pianura Padana si riuniscono in una confederazione cercando prendere una rivincita sui Romani che invece li sconfiggono a Talamone.
A quest’evento seguì una rapida rappresaglia dell’intera Gallia Cisalpina. In prospettiva di una futura occupazione stabile, soprattutto dei territori a sud del Po, venne concepita la via Flaminia che tagliava diagonalmente l’Italia da Roma ad Ariminium (Rimini). Difatti poco dopo, prima della Seconda Guerra Punica (218 a.C.), venivano fondate le colonie geminae (gemelle) di Placentia (Piacenza) e Cremona.
Solo al termine della Guerra Annibalica, Roma riprendeva i suoi piani d’espansione, punendo i popoli che si erano alleati con Annibale e premiando i Senoni e Lingoni gli unici che non si erano schierati con il cartaginese, ottenendo l’autorizzazione a rimanere nei territori a beneficiare della distribuzione terriera.
La punizione, per gli altri, doveva arrivare nel 192 a.C. quando i Boi verranno sconfitti e sottomessi definitivamente, nella battaglia di Mediolanum (Milano); anche se la conquista dei territori padani si potrà dichiarare definitivamente conclusa solo nel 175 a.C. quando vennero soggiogate le ultime popolazioni appenniniche dei Liguri.
Nel frattempo tra il 189 e il 187 a.C., il console M. Emilio Lepido aveva iniziato la costruzione dell’arteria d’infiltrazione-occupazione all’interno del territorio, seguendo un percorso preesistente: nasceva così la via Aemilia, che darà il nome alla regione nei secoli a venire: lo scopo principale era quello di creare un percorso, rapido ed efficace che congiungesse nel minor tempo possibile Rimini a Piacenza.
L’importanza della strada, per come è concepita e realizzata, è superba: oltre ad essere uno strumento di comunicazione detentore di una economia senza precedenti e che rende meravigliosamente ricche tutte le città che incontra, era anche uno splendido meccanismo militare ed un eccezionale dispositivo gromatico: su di essa si basava la centuriazione dell’intera pianura basata sulla particella dello iugero.
Per questo che sul suo asse sorsero un numero notevolissimo di città e decine di stationes minori: Caesena (Cesena), Forum Popili (Forlimpopoli), Forum Livi (Forlì), Faventia (Faenza), Forum Cornelii (Imola), Bononia (Bologna), Mutina (Modena), Regium Lepidi (Reggio Emilia), Parma, Fidentia (Fidenza), Florentiola (Fiorenzola d’Arda) e Placenta (Piacenza).
Su di essa si innestarono altre vie di comunicazione: la via Popilia che congiungeva Rimini con Adria, la via Flaminia minore che univa Bologna ad Arezzo e la via Postumia che andava da Genova ad Aquileia intersecandola all’altezza di Piacenza.
L’evento in assoluto più importante legato al ruolo della Romagna come terra di confine e di passaggio, è legato a Giulio Cesare quando il 12 gennaio del 49 a.C. attraversava il Rubicone, con il suo esercito entrando di diritto in Italia con un esercito in armi diretto prima a Rimini e poi a Roma.
Quella che fino alla prima suddivisione imperiale si chiamava Gallia Togata Cisalpina, da Augusto in poi prenderà dalla Via Aemilia, caso unico, il nome la VIII regione: quella che diverrà tra terre più ricche dell’intero l'impero romano.
Con Costantino nel 336 d.C. la Regio VIII Aemilia sarà separerà due province distinte, la decima Aemilia e l’undecima Flaminia, con capitali rispettivamente Bologna e Ravenna: quest'ultima acquisirà un’importanza notevole con Onorio, imperatore che nel 402 d.C., trasferirà la sede imperiale da Roma a Ravenna.
ITALIA Regio VI-VII-VIII
Di seguito le località della penisola italiana raggruppate seguendo la suddivisione operata in epoca augustea; nell'elenco sono state inserite anche località di fondazione successiva alla prima età imperiale, o anche non più esistenti all'epoca.
Le Regio VI (Umbria) – VII (Etruria) – VIII (Aemilia) corrispondono alle attuali Umbria, parte delle Marche, Toscana, parte del Lazio (nord di Roma), Emilia-Romagna, zone conquistate e romanizzate alcune ancora nel II secolo a.C., altre parte integrante del territorio romano fin dall'epoca arcaica, e in alcuni casi culla della stessa civiltà romana.
In alcuni casi viene riportato anche il nome pre-romano, e dove conosciuta, la specifica se si trattava di aree di sosta stradali (a questa categoria appartengono praticamente tutte le località nominate con un numero, indicante una determinata distanza da una città), quali statio, mansiones (per soste prolungate e ricovero di uomini e animali) o mutationes (per il cambio dei cavalli o degli animali da soma), lungo le più importanti vie di questa zona d'Italia, che collegavano Roma a:
Luni (via Aurelia che proseguiva per Genova e Arles), Vetulonia (via Clodia), Luni passando per Firenze (via Cassia su due tracciati), Perugia (via Amerina), Rimini (via Flaminia passando per Fano). Altri fondamentali assi viari era quelli che collegava Rimini a Piacenza (via Aemilia) e ad Adria (via Popillia), Arezzo a Bologna (via Flaminia minore, nome moderno) e Fiesole al porto di Pisa (via Quinctia). Tutta un'altra serie di strade, collegava comunque la capitale alle città immediatamente a nord (via Cornelia, via Triumphalis, via Tiberina), senza dimenticare che una rete viaria minore collegava fin dalle epoche più arcaiche tutti i piccoli centri.
Nome romano Nome Preromano Popolazione Regio Romana Nome Moderno Prov.
Acervolanum Umbri / Senoni VI Umbria et Ager Galicus S.Arcangelo di Romagna RN
Ad Novas Tabernas Umbri / Senoni VIII Aemilia Cesenatico FC
Ad Rubiconem Umbri / Senoni VI Umbria et Ager Galicus Torre Pedrera RN
Ad Tarum Etruschi / BoiVIII Aemilia Castel Guelfo BO
Ariminium Umbri / Senoni VI Umbria et Ager Galicus Rimini RN
Augusta Umbri / Senoni VIII Aemilia S. Alberto RA
Balneum Umbri / Senoni VI Umbria et Ager Galicus Bagno di Romagna FC
Bobium Castrum Anamarii (?) IX Liguria Bobbio PC
Bononia Felsina Etruschi / Boi VIII Aemilia Bologna BO
Brixellum Etruschi / Boi VIII Aemilia Brescello RE
Bytrium Umbri / Senoni VIII Aemilia Mezzano RA
Caesena Umbri / Senoni VIII Aemilia Cesena FC
Caput Silicis Umbri / Senoni VIII Aemilia Conselice RA
Castrum Mutilum Mudilianum Umbri / Senoni VIII Aemilia Modigliana FC
Celeia VIII Aemilia
Classis Umbri / Senoni VIII Aemilia Classe RA
Claterna Etruschi / Boi VIII Aemilia Ozzano nell’Emilia BO
Colicaria Etruschi / Boi VIII Aemilia S. Possidonio MO
Compitum (ad confluentes) Umbri / Senoni VI Umbri et Ager Galicus S.Giovanni in Compito
(Savignano sul Rubicone) FC
Coniaclum VIII Aemilia
Faventia Umbri / Senoni VIII Aemilia Faenza RA
Ferraria Etruschi / Lingoni VIII Aemilia Ferrara FE
Fidentia vicus Fidentiola Vicumvia / Valfuria Etruschi / Boi VIII Aemilia Fidenza PR
Florentiola Etruschi / Boi VIII Aemilia Fiorenzuola d’Arda PC
Forum Cornelii Etruschi / Boi VIII Aemilia Imola BO
Forum Gallorum Victoriolae Etruschi / Boi VIII Aemilia Castelfranco Emilia (?) BO
Forum Livii Etruschi / Boi VIII Aemilia Forlì FO
Forum Novum Etruschi / Boi VIII Aemilia Fornovo di Taro PR
Forum Popilii Umbri / Senoni VIII Aemilia Forlimpopoli FC
Sabiniuanus Fundus Umbri / Senoni VIII Aemilia Savignano sul Rubicone FC
Lucus Umbri / Senoni VIII Aemilia Lugo RA
Macri Campi Etruschi / Boi VIII Aemilia Magreta MO
Medicina Etruschi / Boi VIII Aemilia Medicina BO
Castrum Meldulae In Castello (?) Umbri / Senoni VIII Aemilia Meldola FC
Mevaniola Etruschi / Boi VI Umbria et Ager Galicus Galeata FC
Misa Etruschi / Boi VIII Aemilia Marzabotto BO
Mutina Etruschi / Boi VIII Aemilia Modena MO
Otesia Etruschi / Boi VIII Aemilia
Parma Etruschi / Boi VIII Aemilia Parma PR
Placentia Etruschi / Boi VIII Aemilia Piacenza PC
Pons Seciae Etruschi / Boi VIII Aemilia Rubiera RE
Ravenna Umbri / Senoni VIII Aemilia Ravenna RA
Regium Lepidum Etruschi / Boi VIII Aemilia Reggio nell’Emilia RE
Sabinianum Umbri / Senoni VI Umbria et Ager Galicus Savignano sul Rubicone FC
Sacis ad Padum Cornicularia
(Tard. Neruma o Neronia) Etruschi / Boi VIII Aemilia Codigoro RA
Sapis (Sabis-Savis) Etruschi / Boi VIII Aemilia Savio RA
Sarsina Umbri / Senoni VI Umbria et Ager Galicus Sarsina FC
Solona Umbri / Senoni VIII Aemilia Castrocaro Terme FC
Spina Etruschi / Lingoni VIII Aemilia Comacchio FE
Tanetum Etruschi / Boi VIII Aemilia Taneto di Gattatico RE
Veleia Etruschi / Boi VIII Aemilia Rustigazzo di Lugagnano Val d'Arda PC
Vicus Serninus o Servinus Etruschi / Lingoni VIII Aemilia Sermide (?) Finale Emilia (?) MO
Vicus Habentia Etruschi / Lingoni VIII Aemilia Voghenza FE
Vicus Varianus Etruschi / Lingoni VIII Aemilia Vigarano Pieve FE



La Famiglia Tacoli Marchesi feudatari di San Possidonio
ha portato una ventata di modernità
ed imprenditorialità che ha coinvolto tutto il marchesato.
Tre sono stati i personaggi che, nel bene e nel male,
hanno segnato le sorti di questa terra.
Achille seniore Pietro seniore ( detto Tacolone)
1° Marchese di San Possidonio
Achille juniore
2° Marchese di San Possidonio
Inventore ed appassionato di scienze idrauliche ha favorito gli studi di Don Giuseppe Andreoli/prete carbonaro
che diventerà uno dei Martiri del Risorgimento.
Con la morte di quest' ultimo i figli già ricoprenti importanti uffici presso il Duca di Modena
si staccheranno da San possidonio per vivere in città.
Pietro juniore
sarà il Marchese che attraverso le "religiose premure" farà ottenere, nel 1806, alla Parrocchale di San Possidonio il famoso Crocifisso già appartenente alla Chiesa dei Cappuccini della Concordia s/S soppressa nel 1805, dal quale quest' anno ricorre il bicentenario del trasporto.
Breve storia dei Marchese
di San Possidonio
abili imprenditori del Settecento
Definizione del titolo di Marchese
La giurisdizione del Marchese si estendeva sulla “marca”, ovvero paese di confine,per cui la sua autorità,specialmente dal punto di vista militare,era superiore a quella della contea; infatti prima di coniare il titolo di Marchesi, questi territori erano destinati ai Conti, ai Duchi o ad altri Gran Signori, i quali avevano ai loro ordini un buon numero di armati per difendere i territori contenuti nella “marca”; furono perciò chiamati “Custodes limitum”,poi Marchiones ed infine Marchisii. Il titolo di Marchese è oggi puramente onorifico e gentilizio,è maggiore a quello di Conte e inferiore a quello di Duca.
La “RIVOLUZIONE” dei Tacoli
Quando , nel lontano mese di marzo del 1710, il nobile reggiano Achille Tacoli fu nominato Governatore Imperiale del Ducato della Mirandola, dopo che i Pico ne erano stati cacciati con l’accusa di “fellonia”, certamente nessuno poteva immaginare che la sua famiglia, nel corso del Settecento avrebbe inciso in modo determinante sulla vita economica e sociale di una vasta area della Bassa modenese, e in particolare del territorio di San Possidonio.
Achille Tacoli era infatti giunto a Mirandola con il titolo un pò pomposo di Governatore Imperiale, ma in pratica era un uomo di fiducia del Duca di Modena Rinaldo I d’Este, che in realtà aveva già acquistato dall’ Imperatore Carlo VI tutto il Ducato Mirandolese. E il prudente Duca di Modena, prima dell’annuncio ufficiale da parte del Sacro Romano Impero, aveva inviato alla Mirandola dapprima il Conte di Castelbarco e in seguito Achille Tacoli , che fino a quel momento era un nobile senza titoli precisi, pur essendo un uomo dalle idee molto chiare e dotato di un notevole senso degli affari. Oggi diremmo che possedeva un grande intuito per il businnes. Infatti va detto che Achille Tacoli già dal 1695 era stato un oculato amministratore dei beni estensi nel Ferarese e aveva agito con grande intelligenza ed eccellente scrupolo.avendo a cuore il suo lavoro e senza depredare il suo augusto datore di lavoro.Poi aveva avuto l’accortezza di sposare una certa Camilla Tassoni che era vedova con una figlia a carico,ma che portava in dote 225.000 lire di Parma,sia in denaro che in proprietà .A quei tempi era una somma di grande rilievo. Achille Tacoli si dimostra sempre leale nei confronti del suo Duca e anche come Governatore dell’ex ducato della Mirandola esegue con ordine e con scrupolo gli ordini del suo Duca. Il Ducato della Mirandola,acquistato dagli Estensi di Modena Per la non rilevante somma di 175.000 doppie d’oro, comprendeva , come noto, i territori degli attuali comune di Mirandola, Concordia e San Possidonio e il Tacoli, uomo assai sveglio, fece presto a capire che i terreni migliori erano quelli di delle zone di San Possidonio e Concordia (nelle parti più vicine al fiume secchia)alla prima occasione non si lascia sfuggire l’occasione di acquistare qualche pezzo di terreno fertile di quelle zone. Chi invece si innamorò davvero di San Possidonio e dei suoi fertili terreni fu il figlio primogenito di Achille,Pietro Tacoli,il quale,tanto per restare nella Bassa modenese,nel mese di agosto del 1723, sposa Lucrezia Pietra della Mirandola. Questa nobile signora gli porta in dote 9.000 scudi d’oro e una possessione di 120 biolche di terreno a San Giovanni di Concordia. Un motivo in più affinché Pietro Tacoli i affezioni alla Bassa modenese, di cui intuisce le buone capacità potenziali. Perché il nostro Pietro Tacoli era un abile uomo d’affari e soprattutto era uno che sapeva guardare lontano. Sta di fatto che con i propri soldi e quelli della moglie si assicura in primo luogo le benevolenze del Duca di Modena,che nel frattempo era diventato Francesco III d’Este e da lui,sempre nel 1723 ottiene il titolo di Marchese e il Feudo di San Possidonio. E così questo piccolo centro della Bassa diventa illustre sede di un Marchesato. Inizia in questo periodo la così detta “età dell’oro” per il piccolo centro di San Possidonio ,perché il nuovo Marchese comincia a comprare tutti i terreni che gli capitano sotto mano, per cui il valore del terreno agricolo cresce notevolmente,con un certo vantaggio per tutti, ad eccezione di coloro che non possiedono nulla, Tuttavia Pietro Tacoli offrì l’occasione di lavoro per tanta gente,e i suoi braccianti e i suoi operai vengono pagati con puntualità. Ma Pietro Tacoli è uno che non sta mai fermo,la filosofia illuminista gli apre qualche nuovo orizzonte e in breve tempo si rende conto che possedere la terra è un grosso vantaggio,ma bisogna farla rendere di più. Non basta fare i raccolti , bisogna saperli vendere . Insomma, riesce ad introdurre nella mentalità degli abitanti di San Possidonio il concetto del “valore aggiunto”. Per fare un esempio,Pietro Tacoli capisce che produrre frumento può essere un attività redditizia ,ma produrre la farina rende ancora di più. E così incrementa l’attività dei mulini. San Possidonio e da sempre un territorio in cui la coltivazione dell’uva ha dato buoni frutti,ma produrre vino rende di più e così le sue varie cantine mettono in commercio vino già imbottigliato e poi,sia nell’attività dei campi che in quella molitoria e vinicola,la mano d’opera in quei tempi ha un costo assai modesto e l’attento Tacoli si rende conto che il lavoratore che opera per tutti i dodici mesi dell’anno si appassiona maggiormente alla propria attività molto più del lavoratore saltuario. Con lui la gente si appassiona al proprio lavoro stabile. E allora Pietro Tacoli da vita a nuove idee, è una continua fucina di iniziative,pur non trascurando di fare del bene alle famiglie più povere del paese. Forse in queste sue frenetiche attività avrà anche sfruttato il lavoro minorile e quello delle donne, ma ha offerto occasioni di lavoro ad un sacco di gente, che gli si è sempre mostrata riconoscente. E’ chiaro che nessuno regalava nulla, ma Pietro Tacoli, come sarà suo figlio Achille Tacoli jr. è un imprenditore nel senso più moderno del termine. Ovviamente, come feudatario, esercita con una certa autorità tutto il potere che la sua carica gli consente: ad esempio, spetta a lui la giurisdizione di primo grado, nel senso che è lui chi ha torto e chi ha ragione tra due contendenti, in altri termini una sorta di giudice di pace; conferma il suo diritto a nominare il parroco del paese, in accordo che l’autorità vescovile, ha diritto di licenza ma anche di veto sulla caccia, sa rendere il paese di San Possidonio del tutto autonomo sia al livello giuridico (infatti non si dipende più da Mirandola a livello giurisdizionale), ha persino diritto di dare vita ad un mercato settimanale (infatti sceglierà la giornata del martedì) e ad una fiera che si teneva ogni anno nel mese di maggio, in occasione della festa del patrono San Possidonio. Ma tornando alla nostra breve storia, nel 1724 Pietro Tacoli, rimane vedovo: la moglie Lucrezia Pietra muore per un malanno improvviso e passa a miglior vita nel bel palazzo che i Tacoli hanno voluto costruire presso l’argine del fiume Secchia, al centro delle loro proprietà e non lontano dai mulini sul fiume stesso. Ma gli affari sono affari e dopo i rituali nove mesi di lutto Pietro Tavoli passa in seconde nozze, rispondendosi con un’altra Lucrezia, però stavolta è Lucrezia Meli Lupi di Soragna, di nobile famiglia parmigiana, che guarda caso, gli porte in dote oltre 100.000 lire di Parma. Ma la vita è breve per tutti e nel 1735 Pietro Tacoli deve recarsi in Spagna, come ambasciatore del duca di Modena presso la corte iberica. E qualche tempo dopo il 9 giugno 1738 Pietro Tacoli cessa di vivere a Lisbona, in Portogallo, dove si era recato per compiti istituzionali. Lascia un cospicuo patrimonio, per quei tempi, da oltre mezzo milione di lire, fra denaro e beni immobili. Inevitabili le liti fra i figli di diverso letto, ma alla fine, esattamente dopo dieci anni viene raggiunto un laborioso accordo: l’eredità maggiore ed il titolo di Marchese spettano al figlio di primo letto Achille Tacoli jr. che in breve dimostra di essere il più abile ed il più intraprendente di tutti i Tacoli. I fratelli e gli altri familiari vengono accontentati con notevoli somme di denaro, oltre a varie altre proprietà immobiliari. Ma quando non manca il denaro, c’è n’è per tutti. In primo luogo il giovane Achille Tacoli jr. intende gestire da solo tutto il suo immenso patrimonio, licenziando agenti e fattori e a questo punto si può dire che tutto il territorio di San Possidonio viene”investito”da una bufera di autentico stampo imprenditoriale,nel senso che,seppur si fosse alla metà del Settecento, Achille Tacoli jr. si dimostra un vero imprenditore, pur facendo, come vedremo, qualche inevitabile passo falso. Oltre a seguire personalmente i lavori agricoli dei numerosi terreni di sua proprietà, nel 1755 acquista dalla Comunità della Mirandola i diritti su un nuovo mulino ad acqua sul fiume Secchia,lo modernizza e quindi macina grano,granoturco, orzo,segale e altri cereali per tutto il territorio della Bassa pianura modenese. Poco dopo ne acquista un altro, in località Bondanello,nel Mantovano,allargandoli suo concetto manageriale fin verso i territori dell’ Oltrepò Mantovano. Poi procede all’acquisto di quasi tutti i cosiddetti”prati di San Martino”fra San Possidonio e Mirandola, allargando notevolmente la sua già forte presenza nella produzione lattiera e casearia. Perchè intende essere lui il protagonista della trasformazione del latte in formaggi. Poi, ormai giunto ad una certa età (43 anni), Achille Tacoli trova anche il tempo per pensare al matrimonio, si concede un attimo di sosta e ne approfitta per sposare Teresa Castaldi, una gentile donzella figlia unica, per cui il nostro Tacoli porta a casa una cospicua dote, in attesa di una ancora più corposa eredità. Poi, attorno agli anni Sessanta del Settecento, Achille Tacoli jr. scopre che il terreno argilloso vicino al fiume Secchia può essere trasformato in eccellente ceramica e nasce subito l’idea della realizzazione di una fabbrica di ceramica a San Possidonio. E infatti il Tacoli chiama attorno a sé un discreto numero di esperti in questo delicato settore dell’arte ceramica ed inizia una nuova interessante attività. Ma i produttori di ceramica della zona di Sassuolo temono questa imprevista concorrenza e dichiarano subito guerra ad Achille Tacoli, puntando soprattutto sul fatto che da tempo i Duchi di Modena avevano concesso in esclusiva in perpetuo l’esercizio dell’attività ceramica alle aziende produttrici di Sassuolo e dintorni. Dopo lunghe polemiche e disperate sentenze di organi amministrativi e giudiziari, la ceramica Tacoli di San Possidonio deve chiudere i battenti. Ad Achille Tacoli dispiace soltanto licenziare alcuni tecnici che aveva fatto giungere da Bologna e da Faenza e diversi operai della zona. Ma non si pensi che il marchese Achille Tacoli jr. rinunci a fare l’industriale e l’imprenditore e poco dopo nel 1770 apre un filatoio. Era noto a tutti che in quel tempo (seconda metà del Settecento), la zona della Bassa modenese era una delle maggiori produttrici italiane di bachi da seta, grazie anche all’abbondanza di piante di gelso, e alla città di Mirandola che era al centro di un attivo mercato, rivolto anche alle “esportazioni”. Già, perché in quel tempo l’Italia era divisa in staterelli e per raggiungere la zona di Como, uno dei principali centri europei nella produzione di seta erano necessari diversi “passaporti” o salvacondotti. Come detto, Mirandola era l’epicentro di un attivo mercato e lo dimostra il fatto che ancora oggi sotto il portico del Municipio della città dei Pico esistono gli attacchi, per meglio dire i ganci, per le bilance che erano addette alla pesatura dei bachi da seta. E ancora oggi in parecchie campagne, specie nella zona di San Possidonio, si possono notare alberi di gelso,nutrimento preferito dei voraci bachi da seta. Ma in quel periodo della seconda metà del Settecento una strana e inconsueta malattia si abbattè sui bozzoli e le attività di questa fabbrica ideata dal marchese Tacoli e specializzata nella produzione di “calzette di seta” deve arrestarsi, anche se il Tacoli, in un primo tempo, cercò di importare la materia prima dall’estero. Ma ci sembra giusto, infine,ricordare che uno dei principali meriti di Achille Tacoli jr. fu quello di avere convinto decina e decina di braccianti e di contadini di San Possidonio a diventare artigiani ante litteram. Nel periodo invernale e negli altri mesi di scarso lavoro agricolo,molti di essi furono indotti a produrre,nelle case e nelle stalle,le famose posate con il manico in osso che fino al periodo che ha preceduto la seconda guerra mondiale erano l’orgoglio artigianale di San Possidonio. In parecchie famiglie del paese si conservano ancora queste posate (specie forchette e coltelli di vario tipo) che oggi sono considerate come preziosi oggetti di antiquariato. Sta di fatto che a conclusione di questa nostra chiacchierata, possiamo dire che Achille Tacoli fu un personaggio di incredibile attività e di mille idee imprenditoriali nemmeno l’arrivo delle truppe francesi di Napoleone Bonaparte, nel 1796, interruppe del tutto la sua frenetica attività, anche se il titolo feudale di marchese di San Possidonio perse ogni valore giuridico. Achille Tacoli jr. passò a miglior vita il 12 ottobre 1806, all’età di 82 anni, tutti spesi nel lavoro e nel pensare a nuove idee decisamente innovative per i suoi tempi.
E’ stato giustamente detto che la scomparsa di Achille Tacoli segnò il repentino distacco della famiglia Tacoli Bassa
modenese e da San Possidonio. I tre figli, Pietro, Antonio e il sacerdote Alfonso non seguirono, a quanto risulta, le orme
paterne: si è sempre detto che per loro l’unico problema da affrontare era quello di mantenere il loro alto tenore di vita e di
non gettare via in fretta la ricchezza che i loro antenati avevano accumulato. Resta il fatto che Achille senior, Pietro e Achille junior Tacoli furono davvero gli antesignani di un grande insolito progresso imprenditoriale manageriale. Come detto, furono forse i primi nobili delle nostre terre ad intuire la validità di quello che noi oggi chiamiamo il “valore aggiunto”. Erano già moderni nel cuore del Settecento
M° Giuseppe Morselli
RITROVAMENTI ARCHEOLOGICI
Comune di San Possidonio
Età Medievale
San Possidonio, chiesa parrocchiale. Urna di marmo rinvenuta nel 1769, contenente le presunte reliquie di San Possidonio.
San Possidonio, chiesa parrocchiale. Iscrizione di età romana
che ricorda la presenza di un caesareum. Modena, Museo Lapidario Estense.
San Possidonio, chiesa parrocchiale.
Iscrizione funeraria di C. Tutilius.
Modena, Museo Lapidario Estense.
EPIGRAFI ROMANE DI REIMPIEGO, fine I sec. a.C.-I sec. d.C.
NECROPOLI, altomedievale
CHIESA, XII sec. d.C.
RICERCHE EFFETTUATE: ritrovamento fortuito (1769); G. Bignardi (1820-1828 circa)
Tra il 1764 e il 1769 durante i lavori di ricostruzione della chiesa parrocchiale di San Possidonio furono effettuate alcune importanti scoperte relative alle fasi precedenti di utilizzo dell'edificio sacro. Alla profondità di m 4 dal piano pavimentale settecentesco si rinvennero i resti di un pavimento a mosaico, con inserti in opus sectile (litostrato) databile al XII secolo. Dalle relazioni pervenuteci si ricava che il mosaico in origine occupava tutta, o quasi, la pavimentazione della chiesa del periodo romanico, lunga m 22 e larga m 15, ma che all'epoca della scoperta risultava mancante in più di un punto (forse sostituito già in antico con riquadri in calcestruzzo battuto). Ci sono giunte le raffigurazioni del mosaico nel settore che occupava la parte centrale del presbiterio, larga circa m 6. Il disegno si articolava in vari riquadri, il maggiore dei quali era delimitato da una cornice geometrica e da rettangoli che racchiudevano figurazioni di animali. Da segnalare, in particolare, il riquadro posto davanti all'altare maggiore, che raffigurava due cervi affrontati nell'atto di brucare erba, separati da un cerchio del diametro di oltre un metro, distinto in tre facce concentriche decorate da parallelogrammi bianchi e neri. Pare che, con la prosecuzione dei lavori, il mosaico venisse in parte, se non del tutto, asportato, dopo averne fatto un parziale disegno. I confronti stilistici consentono di attribuirlo al XII secolo, periodo a cui si data la maggior parte dei mosaici romanici dell'area centro-padana.
Durante i lavori sopra indicati, vennero scoperti, al di sotto del pavimento a mosaico, ad una profondità imprecisata (in un caso sappiamo di circa m 2,50) "antichi depositi", ossia tombe alla cappuccina con copertura di mattoni sesquipedali manubriati, così come si evince dal disegno di uno di essi scoperto il 18 settembre 1766. La datazione delle sepolture, trovate al di sotto della pavimentazione a mosaico del XII secolo d.C., è problematica. La profondità di rinvenimento e, in parte, la tipologia sembrano suggerire una collocazione cronologica antecedente, non meglio precisabile, all'interno dell'alto Medioevo.
Successivamente, il 20 settembre 1769, davanti all'altare di San Possidonio, alla profondità di m 2, al di sotto della pavimentazione a mosaico del XII secolo, venne individuata una cassa di marmo (fig. 31) di modeste dimensioni (m 0,90×0,40; h m 0,28), contenente i resti di un inumato, che vennero identificati con le reliquie del Santo a cui è dedicata la chiesa. Anche per questo rinvenimento si può proporre una cronologia ampia, compresa fra il VI e il XII secolo. La cassa marmorea era sigillata con un'epigrafe romana reimpiegata (fig. 32), databile attorno alla metà del I secolo d.C., che ricorda l'esecuzione di importanti opere pubbliche finanziate da privati cittadini: un caesareum, ornato di xisti Augusti, una via di accesso lastricata con blocchi di silice (CIL, XI, 948). Già in altre sedi si è discusso dei problemi storico-topografici sollevati da questo rinvenimento. Trattandosi di materiale di recupero, risulta sconosciuta l'ubicazione delle opere pubbliche che vi sono menzionate. Da una parte, infatti, è da considerare una provenienza locale, che andrebbe documentata con auspicabili esplorazioni archeologiche nell'area intorno alla chiesa parrocchiale di San Possidonio (e, al riguardo, non è da dimenticare che il culto imperiale trova attestazioni, in Emilia, anche in ambiti rurali, come ad esempio a Maccaretolo nella pianura bolognese); dall'altra non è da escludere il recupero dell'epigrafe da un centro urbano vicino, in particolare Modena o Reggio Emilia, dove una sede del culto imperiale potrebbe trovare una sua facile giustificazione politica.
Un'altra testimonianza di reimpiego di resti di età romana presso la chiesa parrocchiale è murata su una parete esterna dell'attiguo campanile, ricostruito alla metà del Seicento: in questo caso si tratta di una lastra funeraria, assegnabile alla fine del I sec. a.C.-metà del I sec. d.C., con la menzione di un cittadino romano, C. Tutilius T. f., ascritto alla tribù Pollia.
Nel 1828 entrambe le epigrafi furono donate al Museo Lapidario Estense, mentre la cassa è rimasta presso la parrocchiale (attualmente è custodita nella cripta).
LUOGO DI CONSERVAZIONE DEI MATERIALI: in parte perduti (mosaico); San Possidonio, chiesa parrocchiale (urna); MLE (epigrafi romane)
BIBLIOGRAFIA: CALZOLARI 1982; ID. 1983a; BARBIERI 1991; CAPPI 1993; BARBIERI SALVARANI 1994; CALZOLARI 1999a; ID. 1999b; FRANZONI 2000




Stemma Comune di San Possidonio
Descrizione Araldica
Lo stemma (art. 6 dello Statuto, deliberazione C.C. n. 45 del 21/4/2004)
Inquartato, d'oro bordato di azzurro: il PRIMO all'alveare di rosso su base di legno al naturale con alla sinistra quattro api male ordinate, il SECONDO all'incudine su base di legno al naturale con alla destra zappa e vanga decussate in punta la prima parzialmente nascosta, al TERZO al torchioal naturale al QUARTO alla squadra di legno con filo a piombo. Un ramo di quercia e uno di ulivo fruttati, in decusse, legati da un nastro d'azzurro. Lo scudo è timbrato dalla corona regolamentare di Comune Italiano, dalla quale emerge un caduceo
Origini e Simbologia dello Stemma
Scudo distinto in due punti con: l'alveare con api, simbolo della bontà operosa e della "facondia", l'incudine e il badile per le attività per lo più svolte sul posto, coltivatore e fabbro. Nell'altro campo una vecchia stampatrice, per alludere alle attività culturali e un arnese da falegname e muratore. Sovrasta lo stemma una corona "marchionale" (San Possidonio era feudo della Famiglia del Marchese Tacoli). In epoca fascista fu aggiunto un "caduceo" con due serpenti alati per significare l'importanza del commercio.
Lo stemma, durante il fascismo fu modificato leggermente, ma poi ha ripreso il suo aspetto originario
Blasonatura del Gonfalone
Bordi e fregio in oro e argento su fondo azzurro, asta lanceolata
Caratteristiche Stemma
Partizione del Campo: Inquartato
Simboli: Alveare, Ape, Incudine, Ulivo, Vanga
Colori: Azzurro, Oro, Rosso
CRIPTA-POZZO DI SAN POSSIDONIO (Chiesa rupestre – XI secolo
Località: Contrada Carucci, Massafra (TA) Sub-area: Parco Regionale Terra delle Gravine



Quella comunemente conosciuta come “cripta-pozzo di San Possidonio”, per la cupoletta costruita nella zona presbiteriale da tempo crollata lasciando così un’apertura verso l’esterno somigliante a quella di un pozzo, è una chiesa rupestre che, nonostante il precario stato di conservazione, riesce ancora a coniugare la particolare struttura architettonica con una magnifica decorazione. L’ambiente ipogeo, cui si accede attraverso una decina di gradini
incisi nella roccia, mostra un impianto a due navate, di cui quella sinistra con abside ed altare a dado, e quella destra terminante in un’altra cavità pseudo-ovoidale con grande nicchia.
Del notevole arredo pittorico, con affreschi databili tra il XIII ed il XIV secolo, sono ancora evidenti le tracce di un trittico di santi, tra cui la figura di san Possidonio da tempo scomparsa, in una nicchia a sinistra dell’ingresso; una rara (almeno per la Puglia) raffigurazione dei fratelli martiri cappadocesi Elasippo e Melesippo, in due dei quattro clipei presenti nella zona del bema; i santi Nicola, Damiano e Cosma in una nicchia della navata di destra; i resti di una Deésis con il Cristo pantocratore nella calotta absidale.





