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ANDREOLI, Giuseppe (sacerdote)

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 3 (1961)

di Maria Luisa Trebiliani   

ANDREOLI, Giuseppe.

- Nacque a San Possidonio (Modena) intorno al 1791 da genitori di umile condizione. Avviato agli studi letterari dal parroco del paese natio, da giovinetto indossò l'abito clericale coll'intenzione di abbracciare il sacerdozio, ma la mancanza di mezzi economici per portare a termine gli studi e l'ostilità paterna lo costrinsero a seguire per il momento un'altra strada.

Aiutato dallo zio Giovan Battista A., arciprete di S. Martino in Rio, ed ottenuto un sussidio dai marchesi Taccoli, feudatari di San Possidonio, poté iscriversi nel 1811 all'università di Bologna e compiervi gli studi di perito agrimensore. Ma l'A. non amava questa professione e, seguendo le non sopite aspirazioni di adolescente, entrò nella vita sacerdotale e si dedicò agli studi lettetari. Nel 1819 divenne istitutore in casa dei conti Soliani Raschini a Reggio Emilia, con l'appoggio dei quali, non si sa bene se nel '20 o nel '21, ottenne la cattedra di retorica nel collegio degli oblati a Correggio. Alla primavera del 1820 pare, secondo gli atti del processo, che si possa far risalire la sua affiliazione alla carboneria, alla quale era stato iniziato in casa Fattori a Reggio Emilia.

Nel clima di malcontento e di agitazione, diffusosi nel ducato modenese con la Restaurazione, si può inserire, secondo i contemporanei, il consenso dell'A. alle idee carbonare, ma attraverso quale evoluzione di pensiero in lui sacerdote sia maturata, l'adesione a questa società segreta e quale sia stata la sua reazione di fronte alla bolla Ecclesiam a Iesu Christo con la quale Pio VII nel 1821 condannava la carboneria, non è possibile accertare 

con esattezza, data la scarsità di documenti e, soprattutto, di suoi scritti.

Dagli atti processuali risulta che l'A. era stato un attivo diffusore delle idee liberali e che aveva saputo conquistare alla causa numerosi giovani. Non avrebbe interrotto la sua azione clandestina neppure quando, nel 1821, erano cominciati gli arresti per la scoperta a Modena di un proclama in latino, coi quale si incitavano i soldati ungheresi dell'esercito austriaco diretto a Napoli a non combattere contro un popolo fratello che difendeva la propria libertà. All'inizio del 1822, in occasione di altri fermi eseguiti dalla polizia, sembra che il suo nome venisse rivelato all'autorità inquirente nel corso degli interrogatori. La notte del 26 febbraio egli fu arrestato a Correggio e condotto prima a Reggio, poi a Modena, nelle prigioni del palazzo comunale.

In realtà, la sua attività politica, quale risulta dagli atti del processo, appare piuttosto vaga ed incerta; manca qualsiasi altra documentazione e gli stessi suoi biografi sorvolano sugli anni precedenti all'arresto.

Sul periodo trascorso in carcere e sulle vicende della condanna e dell'esecuzione i compagni di prigionia e i contemporanei hanno scritto pagine patriotticamente appassionate, ma, alle volte, tra loro contraddittorie nei fatti e nelle valutazioni. L'A. avrebbe sopportato coraggiosamente sofferenze ed umiliazioni, resistendo alle lusinghe e alle minacce del governatore L. Coccapani e del capo della polizia G. Besini. Ma avrebbe poi confessato a un compagno di cella - forse una spia - di essere carbonaro e, in base alla delazione di costui, si sarebbe istruito il processo, svoltosi a Rubiera, dove si era insediato il tribunale statario straordinario, istituito nel maggio 1822 con un decreto ducale col quale veniva abolito qualsiasi privilegio di foro; di conseguenza il sacerdote modenese fu giudicato dal solo tribunale civile senza che si tenesse conto di quello ecclesiastico.

L'11 sett. 1822 fu emessa la sentenza di condanna alla decapitazione per lui e per altri nove carbonari, rei di lesa 

maestà e di appartenenza a sette segrete. Francesco IV, con lettera autografa dell'11 ottobre successivo, commutava la pena di morte a qualche detenuto, riconfermandola per l'A. e per alcuni altri accusati, i quali, però, o perché contumaci o perché graziati, sfuggirono tutti al supplizio. Il solo per cui il duca non si lasciò commuovere, respingendo ogni domanda di grazia (tra le quali quella di mons. A. Ficarelli, vescovo di Reggio), fu l'A. e la sua fu l'unica esecuzione capitale. La pena inflittagli appare assolutamente sproporzionata alle sue responsabilità: egli sembra essere stato piuttosto vittima delle circostanze; soprattutto la sua condizione di sacerdote e di educatore fornì al sovrano la possibilità di dare ai sudditi un tragico esempio e un severo monito. Il 16 ottobre fu ridotto allo stato laicale, prima ancora che ne giungesse l'autorizzazione da Roma; esecutore della triste cerimonia fu mons. G. M. Cattani, vescovo di Carpi, essendovisi rifiutato, secondo alcuni storici, quello di Reggio. Il 17, verso mezzogiomo, l'A. salì serenamente sul patibolo.

Andreoli Giuseppe (Sacerdote)
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Fonti e Bibl.: A. Panizzi, Dei processi e delle sentenze contro gli imputati di lesa maestà e di aderenza alle sette proscritte negli Stati di Modena, Madrid 1823 (rist. col titolo Le prime vittime di Francesco IV duca di Modena, a cura di G. Carducci, Roma 1897); N. Bianchi, I ducati estensi dal 1815 al 1850, Torino 1852, I, pp. 24-26; A. Vannucci, I martiri della libertà italiana dal 1794 al 1848, 6 ediz., II, Milano 1878, pp. 174-183; G. Silingardi, Ciro Menotti e la rivol. dell'anno 1831, Firenze 1881, pp. 40-50; C. Tassoni, Intorno al processo statario di Rubiera contro i carbonari degli Stati estensi (1822), Roma 1907; T. Fontana, La cattura di D. G.A., in Rassegna stor. del Risorgimento, IV (1917), pp. 707-714; Id.. Prigionia e morte di Don A., ibid., V(1918), pp. 686-716; A. Villani, Don G. A.

prima vittima di Francesco IV duca di Modena, Reggio Emilia 1924; G. Leti, Carboneria e massoneria nel Risorgimento italiano, Genova 1925, pp. 148-150. Sull'A. sono anche alcuni opuscoli di carattere esaltatorio, di scarso interesse storico. V. anche Diz. del Risorgimento Naz., Encicl. Ital., Enc. Cattolica, ad vocem.

Andreoli Giuseppe (pittore)

ANDREOLI, Giuseppe (Pittore)

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 3 (1961)

di Rezio Buscaroli

ANDREOLI, Giuseppe. - Nacque a San Possidonio (Modena), da Domenico e da Eleonora Senesi, l'11 gennaio 1720. Studiò pittura a Bologna, sotto la guida di Giuseppe Peraccini detto il Mirandolese, che era stato scolaro di M. A. Franceschini. Per il duomo di Mirandola egli dipinse un S. Possidonio,che, però, andò tolto e quindi perduto nei restauri del 1858; dello stesso santo disegnò e intagliò in legno un'immagine nel 1760. Eseguì una Assunzione di Maria Vergine alla presenza dei dodici Apostoli,che fu da lui donata alla chiesa di S. Francesco, ed una Annunciazione per la sagrestia dell'oratorio del SS. Sacramento. Nel coro di questo stesso oratorio dipinse due tondi a monocromato con L'entrata di Gesù in Gerusalemme e Gesù che consegna le chiavi a Pietro;mentre, per la chiesa del Tramuschio, sempre a Mirandola, un quadretto rappresentante S. Luigi Gonzaga.Morì il 3 apr. 1776, e venne sepolto nell'oratorio di S. Rocco. Quanto alla sua "maniera", risentì alquanto dell'elegante facilità e scioltezza franceschiana.

Bibl.: D. Felice Cerretti, Biografie mirandolesi,Mirandola 1901, p. 16 (vol. XIII della serie "Memorie storiche mirandolesi"); U. Thieme-F. Becker, Allgem. Lexikon der bildenden Künstler,I, p. 478.

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Sant'Agostino vescovo e Dottore della Chiesa

 

Quest'opera venne realizzata dal pittore modenese Giuseppe Andreoli (1720-1776). Il dipinto a olio su tela pittura cm. 101 x 240 di altezza. L'opera risale al periodo compreso fra il 1745 e il 1760. L'autore vi ha raffigurato Agostino in piedi, mentre imbraccia con la sinistra il bastone pastorale. Con la mano destra invece trattiene al petto un lembo del piviale. Lo sfondo utilizzato è di tonalità scura. La posizione originaria dell'opera era in una nicchia della chiesa del Gesù. Qui infatti, lungo la navata, erano poste delle nicchie, che erano chiuse da dieci tele raffiguranti santi e Dottori della chiesa. Della dotazione originaria ne restano solo sei, che vennero tolte dal loro ambiente nel 1760 quando furono sostituite con le odierne statue in stucco di Petronio Tadolini. La tela è stata attribuita ad Andreoli grazie al confronto stilistico con una sua altra opera eseguita nel 1766 che raffigura san Possidonio

Alla base della figura si legge la scritta AVGVSTINVS.

Augusto Ferrari

Augusto C. Ferrari

nato a San Possidonio nel 1871. Il suo lavoro si distingue per un evidente eclettismo che lo fa

spaziare dall’architettura alla pittura e alla fotografia, all’incrocio tra naturalismo e astrazione

stilistica.Ferrari diventò architetto per imposizione paterna: svezzato a Modena da una balia

scesa dall’Appennino, studiò architettura all’Università di Genova concludendo la sua

formazione nel 1892. Si trasferì poi a Torino per studiare pittura all’Accademia Albertina e

Stili antichi e moderni presso il Regio Museo Industriale. A Torino ebbe come maestro di

pittura Giacomo Grosso, autore dello scandaloso “Sacro Convegno” esposto alla

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Biennale di Venezia del 1895 (l’ultimo convegno delle amanti di Don Giovanni intorno al cadavere del loro seduttore), da cui prese forse il gusto di una pacata ironia, evidenziando come  l’iconografia religiosa, utilizzata per i suoi lavori nelle chiese, sottintenda un sottile impulso sensuale. Questa relazione tra arte e religione sarà però molto più esplicita nelle opere di suo figlio León, come vedremo.Augusto Ferrari a Torino si dedicò anche alla fotografia e si specializzò sotto la guida di Giacomo Grosso nella realizzazione di “panorami”. Il panorama era un genere pittorico dell’Ottocento, precursore dell’iperrealismo, delle installazioni e della realtà virtuale. Si trattava di grandi murales trasportabili che occupavano le pareti di una sala circolare e che spiazzavano lo spettatore, sistemato al centro della sala, creandogli l’illusione di trovarsi in un altro scenario, ad esempio dentro un paesaggio esotico o una famosa battaglia. Ferrari collaborò con Grosso al panorama de La Battaglia di Torino e, nel 1910, a quello de La Battaglia di Maipú, commissionato dal governo argentino per il centenario della Rivoluzione di maggio, e lungo 124 metri per 15 di altezza. Nello stesso periodo la società Cine-Films incaricò Ferrari della realizzazione del panorama di Messina distrutta dal terremoto del 1908, che fu inaugurato il 7 luglio 1910 a Torino nel Padiglione circolare del Valentino.Nel 1914 Ferrari sbarcò a Buenos Aires per gestire, per conto dei proprietari, l’esposizione del panorama di Messina, annullata poi per la crisi economica. Il pittore possidiese si sistemò presso il convento dei Padri Cappuccini a Nueva Pompeya, un quartiere della capitale. Per i suoi ospiti decorò le pareti del refettorio e dipinse ritratti di sacerdoti. Durante i lavori nella Cappella del Divino Rostro conobbe Susana Celia del Pardo che sposò nel 1917. Due anni prima era stato incaricato del panorama de La Battaglia di Tucumán e di quello de La Battaglia di Salta, entrambi lunghi 95 metri e alti 11. S’innamorò dell’Argentina viaggiando nelle zone delle battaglie per documentarsi e prendere fotografie.Tra il 1917 e il 1922 restaurò e decorò la chiesa di San Miguel a Buenos Aires, incendiata durante la rivoluzione del 1955, l’anno in cui rimase ferito durante una manifestazione perdendo un occhio. Per questa chiesa, oltre a modificare l’architettura esterna, dipinse 120 quadri. Interessanti sono le fotografie dei modelli utilizzati da Ferrari per i bozzetti di dipinti come Le Nozze di Cana.

 L’Ultima Cena che citano il Rinascimento romano: lui, la moglie, altri membri della famiglia o persone trovate in strada sono travestiti da personaggi biblici, con turbanti, corone di cartone, barbe posticce, tuniche di tela,  copricapi improbabili. Traspare da questa messinscena di profeti, santi, messia e martiri nudi un gran divertimento   e forse un intento dissacratore. La stessa cosa può dirsi  per le foto di nudi femminili usati come modelli per   la sua pittura di cavalletto. Sono state realizzate durante la sua permanenza in Italia con la famiglia dal 1922 al ’26, sulla costa toscana o nel giardino della sua casa di Torino, tirando una tenda perché i vicini non vedessero. In Italia Ferrari si dedicò allo studio della figura, al nudo, al paesaggio e alle vedute di Venezia, soggiornando a Viareggio, Torino e nella città dei Dogi.Tornato in Argentina, costruì nel 1927 il chiostro della chiesa di Nueva Pompeya, in uno stile eclettico che mette insieme  il romanico, gli influssi arabi e normanni in Sicilia e lo stile conventuale napoletano. L’anno seguente fu incaricato di un nuovo panorama per il centenario della fondazione di Bahía Blanca. La sua opera architettonica più importante resta la grande cattedrale di Córdoba commissionatagli dai Padri Cappuccini, in stile neogotico, decorata con guglie e rosoni, manifesto di un eclettismo che cita la storia dell’arte italiana.Nel decennio 1930-40 costruì appena fuori Córdoba la chiesa di Villa Allende e una decina di abitazioni tra le quali “La Cigarra” e “El Castillo”, quest’ultima chiamata anche “San Possidonio” in ricordo del luogo natale. In provincia di Córdoba realizzò anche la chiese di Unquillo e, in collaborazione con il figlio León, quella di Rio Cuarto. Numerosi, poi, i progetti architettonici non andati a buon fine, di cui ci rimangono i disegni preparatori.

Barbetta e occhio di vetro segreto, Augusto Ferrari visse un secolo intero (morì nel 1970 a 99 anni), collegando  con la sua opera l’Ottocento, di cui era figlio, e il mondo virtuale della contemporaneità. Saltò il Novecento e le avanguardie, da vero accademico eretico.

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Gina Borellini

Medaglia d'Oro al Valor Militare

Nata a San Possidonio (Modena) il 24 ottobre 1919, morta a Modena il 2 febbraio 2007, impiegata, Medaglia d'oro al valor militare.Era una delle 19 donne italiane decorate (quasi tutte alla memoria) con la massima ricompensa militare per la loro attività durante la lotta di Liberazione. Subito dopo l'armistizio, la Borellini s'impegnò prima prestando aiuto ai militari sbandati, poi come staffetta e partigiana combattente nelle formazioni del Modenese. Catturata col marito, Antichiaro Martini, fu atrocemente torturata. Per tre volte portata di fronte al plotone d'esecuzione, non dimostrò mai il minimo cedimento. 

Quando i fascisti la rilasciarono, rinunciò a mettersi al sicuro per restare vicina al marito prigioniero; quando questi fu fucilato, la Borellini riprese il suo posto di combattente. Ferita durante un'azione nell'aprile del 1945, rifiutò di essere soccorsa, per non intralciare il compito dei suoi compagni di lotta. Da sola riuscì a frenare una grave emorragia e a riparare all'ospedale di Carpi, dove i sanitari furono costretti ad amputarle una gamba. Mentre era ancora ricoverata, fu individuata dalla polizia fascista, che la sottopose ad estenuanti, inutili interrogatori. Gina Borellini sarebbe stata fucilata se non fosse sopravvenuta l'insurrezione.Dopo la Liberazione, è stata consigliere provinciale di Modena, presidente dell'Unione donne italiane e dell'Associazione mutilati. È anche stata eletta deputato nella I, nella II e nella III legislatura ed ha fatto parte della Commissione Difesa della Camera.Questa la motivazione della ricompensa al valore concessa alla Borellini: "Giovane sposa, fin dai primi giorni dedicava tutta se stessa alla causa della liberazione d'Italia, rifugiando militari sbandati e ricercati e aiutandoli nel sottrarsi al servizio con i tedeschi, staffetta. Instancabile ed audacissima, trasportava armi, diffondeva opuscoli di propaganda, comunicava ordini, sempre incurante del grave pericolo cui si esponeva. Arrestata col marito, resisteva alle più atroci torture senza dire una parola sui suoi compagni di lotta. Tre volte condotta davanti al plotone di esecuzione assieme al suo consorte, continuava a tacere. Inopinatamente rilasciata, rifiutava di nascondersi in montagna per essere più vicina al marito tuttora detenuto. Fucilato questo, arrestatole un fratello, raggiunse una formazione partigiana con la quale affrontava rischi e disagi inenarrabili e non esitava ad impugnare le armi dando frequenti e luminose prove di virile coraggio. Sorpresa la sua formazione dalle Brigate Nere, gravemente ferita ad una gamba nella disperata eroica resistenza, non permetteva ai suoi compagni di soccorrerla, sola riusciva a frenare la copiosa emorragia e, traendo coraggio dal pensiero dei propri figli, si sottraeva alle ricerche nemiche. Nell'ospedale di Carpi, individuata dalla polizia fascista subisce, sebbene già in gravissime condizioni, estenuanti interrogatori, ma tace incrollabile nella decisione eroica. Amputatale la gamba, l'insurrezione la sottrae alla vendetta del nemico fuggente. Fulgido esempio di sacrificio e di eroismo".

Gina Borellini
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